Ho acceso il pc al pomeriggio e ho cercato su internet
un detto di un artista a tutto tondo di tanto tempo fa, Marcello Marchesi,
‘l’importante è che la morte mi colga vivo’. Non mi ricordavo bene questa
frase, ci ho pensato riflettendo ai fatti di oggi sui giornali, notizie diverse
ma identiche sul significato stesso della cosa in sé, l’uomo , il suo destino e
il fine ultimo del suo agire. La prima notizia parla di un uomo normale, malato
di Sla, impegnato a difendere diritti e sostegni ai disabili gravi da parte di
uno Stato francamente indifendibile , impassibile al bene pubblico e umano, ha strappato un
impegno dal Governo per aumentare i fondi per le cure domiciliari, un impegno
che sembrava , in verità, soltanto una promessa , ma era contento dopo ore di trattative, è morto così, infarto, stress, malattia,
continuava a insistere ‘fate presto, non abbiamo tempo’, fragile soldato del
nostro tempo, assurdo e stupido .C’è poi un altro uomo, attore, comico gentile
e surreale, aveva il cancro, ha continuato a provare l’ultima piece teatrale con la chemio, ha ripetuto tante
volte battute e pause, l’ha zittito la morte, che non sa ridere…Sono notizie
opposte, per luogo e tempo, unisce l’uomo,
che non si arrende, che nonostante le batoste dell’esistenza ama e lotta, non sopravvive, vive, e nulla
è sprecato …
venerdì 25 ottobre 2013
lunedì 21 ottobre 2013
FEBBRE
Ho
la febbre. Mi è venuta all’improvviso, tra le ultime ore di scuola e impegni
vari, non avevo niente, e poi, caldo, freddo, caldo, voglia di scappare via a
letto, un’aspirina e amen. Ma non si può, ho finito un racconto per un
concorso, devo consegnarlo in una libreria lontana, è l’ultimo giorno per
portarlo e zero voglia di sentir dire ‘è troppo lungo, corto, non fa ridere, mi
dica, lei non ha agganci con qualcuno, vero? Capisco, dia pure a me…’ Eppure si
va, Milano è in buona, cioè non c’è il sole, ma si sopravvive tra ragazzi che rotolano
da un istituto qui vicino, vecchio e cade a pezzi, insicuro, con scale
fatiscenti… aspettando il tram penso che è un ‘bene pubblico’, io lavoro, a
gocce, in una scuola privata, linda e ordinata, sopra gli specchi di efficienza
e cordialità organica finto personale c’è il niente sotto, di contatto umano e
cognizione completa di sé, si mira solo a studiare a memoria e non domandare,
nel crollo morale dei tempi fragili i nostri ragazzi annegano, e non lo sanno…
perdonatemi, ho la febbre, straparlo, e finiamola lì. Guardo le pagine del
giornale lasciato lì sulla pensilina del tram, solite cose, la ’manovrina’,
sembra un abito liso, da ricucire più volte a chi è ‘oversize’, si rattoppa e
si rompe da tutte le parti, comprarlo nuovo non è cosa, e quindi si cammina,
con una mano di qua e una di là, con la dignità intercambiabile di ministri che
si offendono, dibattono, propongono ma sono sempre lì, non si schiodano, operai
della politica o trapezisti sul filo che, comunque cadono sempre in piedi…ho la
febbre, passerà, abbiate pazienza. Lascio il racconto in quadruplice copia
manoscritta – ma non era meglio Word e stampante, una volta tanto? Oh, l’odore
di carta ‘fatta a mano’, vuoi mettere - vado a casa, con gente incolore e indifferente,
pensa a cosa mettere in tavola, un
taglio nuovo ai capelli, non a Lampedusa, agli sbarchi continui, ai morti
anonimi nascosti in fretta e in silenzio, al funerale d’obbligo senza una vera
lacrima, vernissage di disperati per tutte le stagioni, tende d’accoglienza che
scoppiano, i cessi neri, sbarrati, occhi di dolore in mezzo al mare ostile, disarmonia stridente con la facce neutre e
tranquille di una città in bilico tra consapevolezza e follia… ma è la febbre, sempre
la febbre, un’ aspra , spiacevole influenza dei miei pensieri , difficile da
domare.
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