venerdì 25 ottobre 2013

FA CHE LA MORTE MI COLGA VIVO





Ho acceso il pc al pomeriggio e ho cercato su internet un detto di un artista a tutto tondo di tanto tempo fa, Marcello Marchesi, ‘l’importante è che la morte mi colga vivo’. Non mi ricordavo bene questa frase, ci ho pensato riflettendo ai fatti di oggi sui giornali, notizie diverse ma identiche sul significato stesso della cosa in sé, l’uomo , il suo destino e il fine ultimo del suo agire. La prima notizia parla di un uomo normale, malato di Sla, impegnato a difendere diritti e sostegni ai disabili gravi da parte di uno Stato francamente indifendibile , impassibile  al bene pubblico e umano, ha strappato un impegno dal Governo per aumentare i fondi per le cure domiciliari, un impegno che sembrava , in verità, soltanto una promessa , ma era contento dopo ore di trattative,  è morto così, infarto, stress, malattia, continuava a insistere ‘fate presto, non abbiamo tempo’, fragile soldato del nostro tempo, assurdo e stupido .C’è poi un altro uomo, attore, comico gentile e surreale, aveva il cancro, ha continuato a provare l’ultima piece  teatrale con la chemio, ha ripetuto tante volte battute e pause, l’ha zittito la morte, che non sa ridere…Sono notizie opposte, per luogo e tempo, unisce l’uomo,  che non si arrende, che nonostante le batoste dell’esistenza  ama e lotta, non sopravvive, vive, e nulla è sprecato …

lunedì 21 ottobre 2013

FEBBRE







Ho la febbre. Mi è venuta all’improvviso, tra le ultime ore di scuola e impegni vari, non avevo niente, e poi, caldo, freddo, caldo, voglia di scappare via a letto, un’aspirina e amen. Ma non si può, ho finito un racconto per un concorso, devo consegnarlo in una libreria lontana, è l’ultimo giorno per portarlo e zero voglia di sentir dire ‘è troppo lungo, corto, non fa ridere, mi dica, lei non ha agganci con qualcuno, vero? Capisco, dia pure a me…’ Eppure si va, Milano è in buona, cioè non c’è il sole, ma si sopravvive tra ragazzi che rotolano da un istituto qui vicino, vecchio e cade a pezzi, insicuro, con scale fatiscenti… aspettando il tram penso che è un ‘bene pubblico’, io lavoro, a gocce, in una scuola privata, linda e ordinata, sopra gli specchi di efficienza e cordialità organica finto personale c’è il niente sotto, di contatto umano e cognizione completa di sé, si mira solo a studiare a memoria e non domandare, nel crollo morale dei tempi fragili i nostri ragazzi annegano, e non lo sanno… perdonatemi, ho la febbre, straparlo, e finiamola lì. Guardo le pagine del giornale lasciato lì sulla pensilina del tram, solite cose, la ’manovrina’, sembra un abito liso, da ricucire più volte a chi è ‘oversize’, si rattoppa e si rompe da tutte le parti, comprarlo nuovo non è cosa, e quindi si cammina, con una mano di qua e una di là, con la dignità intercambiabile di ministri che si offendono, dibattono, propongono ma sono sempre lì, non si schiodano, operai della politica o trapezisti sul filo che, comunque cadono sempre in piedi…ho la febbre, passerà, abbiate pazienza. Lascio il racconto in quadruplice copia manoscritta – ma non era meglio Word e stampante, una volta tanto? Oh, l’odore di carta ‘fatta a mano’, vuoi mettere -  vado a casa, con gente incolore e indifferente,  pensa a cosa mettere in tavola, un taglio nuovo ai capelli, non a Lampedusa, agli sbarchi continui, ai morti anonimi nascosti in fretta e in silenzio, al funerale d’obbligo senza una vera lacrima, vernissage di disperati per tutte le stagioni, tende d’accoglienza che scoppiano, i cessi neri, sbarrati, occhi di dolore in mezzo al mare ostile,  disarmonia stridente con la facce neutre e tranquille di una città in bilico tra consapevolezza e follia… ma è la febbre, sempre la febbre, un’ aspra , spiacevole influenza dei miei pensieri , difficile da domare.